QUATTRO GENERAZIONI DI RICERCATORI FINLANDESI A POMPEI

Paavo Castrén
professore emerito di filologia classica (Università di Helsinki), direttore del progetto di ricerca EPUH 2002-09

Il testo si basa sulla conferenza tenuta dall'autore il 7 aprile 2021 nell'occasione della presentazione del volume pubblicato dall'EPUH - Expeditio Pompeiana Universitatis Helsingiensis. La registrazione dell'evento è disponibile qui.

Da molto tempo Pompei gode di particolare interesse, scientifico e anche turistico, da parte del pubblico finlandese. Di fatti, c’è una lunga tradizione di studi finlandesi su Pompei, molte mostre su diversi aspetti di Pompei hanno avuto numerosissimi visitatori, e conferenze e libri divulgativi hanno portato i risultati degli studi a conoscenza anche del grande pubblico.

Il primo approccio scientifico al passato di Pompei è stato di carattere puramente filologico, o per meglio dire linguistico. Veikko Väänänen, poi divenuto professore di filologia romanza all’ Università di Helsinki, trascorse negli anni 1930 diversi anni a Napoli e a Pompei con la moglie Helen Väänänen, stringendo amicizia con archeologi e epigrafisti. Ebbe rapporti particolarmente cordiali con Matteo della Corte, che stava allora preparando il seguito allo studio e alla pubblicazione dei graffiti pompeiani intrapreso da Karl Zangemeister e proseguito da August Mau. Väänänen si interessò della lingua dei graffiti, ossia del latino com’era parlato a Pompei.

Matteo della Corte e Veikko Väänänen. Foto: Helen Väänänen

Nella tesi di dottorato, pubblicata nel 1935, riuscì a dimostrare che nella lingua popolare di Pompei c’erano già i segni di quello sviluppo che in precedenza era stato considerato come non anteriore al latino volgare del tardo impero, se pure non anteriore alle lingue romanze. Come esempi si potrebbero citare il ridursi della differenza tra i casi, la scomparsa del ritmo basato sulla lunghezza delle sillabe, il confondersi della durata delle vocali e il semplificarsi di alcuni gruppi di consonanti. L’opera di Väänänen ebbe un grande successo internazionale – ne furono stampate tre edizioni – e il nome di Väänänen divenne famoso a Pompei. 

Nel 1959 Veikko Väänänen era divenuto direttore dell’Institutum Romanum Finlandiae, fondato appena cinque anni prima. Nella primavera del 1961 tenne un corso di epigrafia per undici studenti graduati di filologia classica. Secondo me avrebbe voluto continuare, con il suo team, lo studio dei graffiti pompeiani, magari in un contesto più ampio. Ciò avrebbe però costituito un ónere economico troppo pesante per il nuovo istituto che lottava con difficoltà finanziarie. Si scelse così di studiare tutti i diversi tipi di iscrizioni arrivando alla fine a studiare i graffiti dei palazzi imperiali del Palatino, allora o insufficientemente pubblicati o completamente inediti.

Il gruppo, che comprendeva i futuri professori Paavo Castrén e Heikki Solin, fece alla fine di marzo 1961 un lungo viaggio a Pompei e in altri luoghi archeologicamente interessanti di Campania e Lucania. Allora era possibile visitare a Pompei moltissime case le cui chiavi un custode che ci accompagnava portava con sé. Da abile fotografo, la Signora Väänänen seguì il gruppo e scattò molte diapositive documentando dettagli archeologici ora non più esistenti.   

Alla fine del viaggio il Väänänen mi chiamò nel suo studio, mi consegnò alcuni suoi scritti su Pompei e mi incoraggiò a continuare gli studi Pompeiani. L’anno seguente scrissi così la mia tesi di laurea sullo status degli attori e dei musicisti di Pompei e ritornai a Roma per studiare i graffiti del Palatino. Insieme al collega Heikki Solin, che cominciò ad interessarsi delle iscrizioni lapidarie della Campania, rappresentiamo quindi la seconda generazione dei pompeianisti finlandesi.

L’inizio degli anni 1960 fu il periodo di grandi cambiamenti nell’amministrazione degli scavi di Pompei. Durante la nostra visita del 1961 il Soprintendente di Pompei e del Museo Archeologico di Napoli era ancora Amedeo Maiuri, che era entrato in carica già nel 1924, ma che proprio in quell’anno andò in pensione e morì due anni dopo. I Väänänen andarono a visitare, forse per l’ultima volta, Matteo della Corte che morì all’inizio del 1962. Il successore di Maiuri come Soprintendente di Napoli e Pompei divenne Alfonso De Franciscis.

Dopo la laurea feci studi di perfezionamento a Helsinki, prestai il servizio militare e pubblicai come risultato dei miei studi sul Palatino i graffiti della Domus Tiberiana.

Nel frattempo il Väänänen aveva accettato di nuovo l’incarico di direttore dell’Institutum Romanum Finlandiae per un anno a condizione che io diventassi suo assistente per la primavera del 1969. Egli era infatti giunto ad un accordo con Filippo Magi, allora responsabile dell’archeologia del Vaticano, per l’edizione delle iscrizioni della Necropoli dell’Autoparco Vaticano. Dati i molti impegni scientifici del Väänänen fui io di fatti responsabile della conduzione del lavoro. Nel 1973 il volume Le iscrizioni della Necropoli dell’Autoparco Vaticano venne consegnato al Santo Padre Paolo VI in una solenne udienza privata.

La pubblicazione sulle iscrizioni viene consegnata al papa Paolo VI. Foto: Vaticano/Institutum Romanum Finlandiae

A cominciare dall’estate 1969 potei finalmente dedicarmi allo studio della storia municipale di Pompei, basato sui nomi di tutti gli individui identificabili da varie fonti. Complessivamente, ritrovai circa 6000 nomi di persone vissute a Pompei nel periodo romano (circa 80 a.C. – 79 d.C.) classificabili sotto 479 gentilizi e almeno in grosso modo databili. Una grande quantità dei nomi apparteneva ai membri della classe dirigente della città, cioè all’ordo decurionum.

All’inizio del lavoro incontrai Jean Andreau che stava appena per finire il suo grande studio sugli affari di Cecilio Giocondo, il banchiere di Pompei, e ci siamo accorti che potevamo aiutarci uno l’altro. Infatti, in tutti i documenti conservati da Giocondo c’erano dieci testimoni che avevano firmato il documento in ordine di precedenza sociale. Insieme alle iscrizioni sepolcrali in cui apparivano varie relazioni familiari questi costituirono una parte importante del mio materiale. Tramite l’aiuto di Jean Andreau conobbi anche il Prof. Ettore Lepore, che negli anni precedenti aveva scritto articoli molto interessanti sulla storia sociale ed economica di Pompei, e che mi dette consigli essenziali per l’utilizzo del mio materiale a scopi economici e sociali.

In precedenza avevo incontrato anche un altro importante professore napoletano, Marcello Gigante, che si rivelò essere una conoscenza fondamentale nel mediare i rapporti con le Autorità di Pompei. Allora, infatti, non era molto facile per uno straniero ottenere a Pompei permessi di ricerca. Le Autorità ritenevano che il materiale che non era ancora pubblicato in maniera definitiva dovesse essere conservato per studiosi italiani, preferibilmente locali. Inoltre, era talvolta difficilissimo procurarsi informazioni sugli scavi eseguiti anni prima, ma non ancora pubblicati. Il caso più cruciale per me era costituito dalle iscrizioni della Necropoli di Porta di Nocera, scavata sotto la direzione di Amedeo Maiuri già negli anni 1950, ma non ancora pubblicata. All’inizio mi si disse che la pubblicazione delle iscrizioni era riservata a un non più giovanissimo studioso che secondo il Soprintendente De Franciscis era un ”bravo ragazzo”. La mancanza di tale importante parte del materiale sarebbe risultata fatale per il mio lavoro, ma fortunatamente il Prof. Gigante riuscì a convincere il Soprintendente a cambiare opinione. Mi disse che dovevo venire immediatamente a presentare il mio progetto di studio al Soprintendente. L’incontro fu amichevole e potei quindi andare all’Archivio a consultare i Diari di Scavo, ma mancava proprio il Giornale della Necropoli di Porta Nocera. Un funzionario mi prospettò che il giornale fosse forse rimasto a casa del Maiuri, a cui nessuno aveva osato chiederne la riconsegna. Per evitare ulteriori indugi l’unica possibilità per me fu quella allora di andare direttamente alla Necropoli e copiare de visu le iscrizioni direttamente dalle lapidi. Riuscii a farlo in una giornata e non credo di aver fatto grossi sbagli.

Già prima della pubblicazione dell’Ordo populusque Pompeianus ne presentai i risultati in numerosi seminari universitari e convegni internazionali. La parte più utile era forse la lista delle famiglie pompeiane di cui diveniva possibile seguire la storia e le relazioni familiari e sociali.

In queste circostanze è nata la ”terza generazione” dei pompeianisti finlandesi. Antero Tammisto, storico, latinista e convinto ornitologo cominciò a studiare le immagini di uccelli nelle pitture parietarie pompeiane e ne pubblicò nel 1997 uno studio fondamentale. In seguito, egli si è occupato, insieme a Ilkka Kuivalainen, rappresentante già della quarta generazione, delle pitture parietarie della Casa di Marco Lucrezio divenendo dal 2009 direttore del progetto di Pompei. Contemporaneamente al Tammisto, una storica, Liisa Savunen, pubblicò nel 1997, sotto l’egida dell’allora direttrice dell’Istituto finlandese, Päivi Setälä, la sua tesi sull’influenza delle donne sulla vita sociale e economica di Pompei dimostrandola, come era prevedibile, più manifesta delle aspettative.

La ”quarta generazione” infine è appunto quella del progetto dell’Università di Helsinki a Pompei. Infatti, a metà degli anni Novanta, venne deciso al Convegno di Ravello, convocato dall’ allora Soprintendente di Pompei Pietro Giovanni Guzzo, che anche gruppi di ricercatori stranieri potessero ottenere più facilmente permessi di scavo e studio a Pompei a condizione che assumessero la responsibilità di intere insulae invece che di singole case. Si consigliò, inoltre, che si studiassero particolarmente aree scavate già in passato, ma insufficientemente pubblicate.

Per ragioni di carattere pratico, i ricercatori finlandesi non furono tra i primi ad accorrere sul nuovo campo di lavoro. Ma quando nel 1998 fu organizzata al Museo d’Arte Internazionale di Helsinki la mostra di gioielli provenienti da Pompei e Ercolano, i colleghi archeologi italiani che visitarono Helsinki a causa della mostra ci espressero un caloroso invito a partecipare alle nuove ricerche ricordandoci le vecchie tradizioni. Cominciammo subito le preparazioni organizzando nel 2000 una serie di conferenze e seminari invitando alcuni esperti finlandesi ed internazionali a partecipare, tra cui il già ricordato Jean Andreau, Alison Cooley autrice di un ”sourcebook” su Pompei, e Antonio Varone, allora direttore degli scavi di Pompei.

Nel 2002, l’Università di Helsinki concesse il finanziamento dei lavori, e alla richiesta dell’ allora Rettore Kari Raivio giunse subito dal Soprintendente Guzzo una risposta positiva. Dato il concreto interessamento dell’Università di Helsinki, il progetto porta il nome di Expeditio Pompeiana Universitatis Helsingiensis, ovvero EPUH. Esso è stato in seguito appoggiato anche dall’Accademia di Finlandia, dal Fondo Culturale Finlandese e da numerose fondazioni private.

Gruppo di ricerca Expeditio Pompeiana Universitatis Helsingiensis nel 2002. Foto: EPUH

Anche la scelta del sito da scavare non fu una questione semplice. All’inizio si pensò di cercare il porto di Pompei, che avrebbe certamente fornito moltissime notizie completamente nuove sulla vita economica della città e sulle sue importanti relazioni commerciali. Questa proposta si dimostrò però di difficile attuazione perché il porto si trova in un’area per il momento non conosciuta, probabilmente su un terreno di proprietà privata. È ancora controversa la sua ubicazione precisa, e avrebbe potuto esserci il rischio di non trovarlo affatto.

Come seconda possibilità si pensò allo studio delle numerose anfore vinarie provenienti da vari siti del Mediterraneo trovate a Pompei. Ma poi emerse il fatto che le anfore erano state spesso spostate da un luogo all’altro, e non c’erano notizie precise sulla casa in cui ciascuna di esse era stata trovata. Su consiglio di Antonio Varone, e in accordo con la raccomandazione del convegno di Ravello, ci decidemmo infine per l’insula IX,3, di circa 3300 mq di superficie, situata proprio al centro geografico della città, la cui parte principale è costituita dalla Casa di Marco Lucrezio, portata alla luce tra gli anni 1846 e 1871.

Nel primo periodo di studi, eseguiti nell’autunno 2002, fu deciso di concentrare la nostra ricerca proprio sulla Casa di Marco Lucrezio. I partecipanti al progetto furono divisi in quattro gruppi: un gruppo archeologico avente il compito di studiare le strutture della Casa, eseguire al di sotto del livello stradale del 79 d.C. scavi limitati, e studiare tutti i reperti venuti alla luce; un gruppo cartografico avente il compito di eseguire una mappa dettagliata di tutta l’area dello scavo, e di aiutare il gruppo delle pitture parietali nella documentazione fotogrammetrica; il gruppo delle pitture parietali avente il compito di copiare e studiare le pitture parietali conservatesi, chiarirne il contenuto e il modo di esecuzione; infine il gruppo fotografico che si aggirava continuamente nell’ area di scavo, documentando ogni fase di lavoro.

A partire dal 2004, al lavoro partecipò anche l’Istituto di Arti Applicate del Politecnico EVTEK, il cui contributo si è dimostrato utilissimo.  Gli esperti dell’EVTEK hanno eseguito una versione tridimensionale della Casa, analizzato i pigmenti delle pitture parietali, e ricomposti i frammenti di pitture trovati negli scavi. Siamo lieti del fatto che nell’ambito di questo progetto siamo riusciti a mettere in atto anche ciò che è stato spesso auspicato come ideale forma di collaborazione tra le Università e i Politecnici professionali.

Come frutto del Progetto è nata la quarta generazione dei pompeianisti finlandesi tra i partecipanti al lavoro, che già prima della pubblicazione complessiva del programma hanno scritto e pubblicato studi ed articoli sulla città vesuviana anche come tesi di dottorato. Ma è giusto che di essi siano il futuro e gli altri a parlare.

Gruppo di ricerca Expeditio Pompeiana Universitatis Helsingiensis nel 2011. Foto: EPUH

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